Spicchietto di Lunablu

Le Parche, Divinità del destino

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Lunablu79
icon1  view post Posted on 15/11/2010, 10:30




LE DIVINITA' DEL DESTINO
LE MOIRE O PARCHE



Era persuasione comune e radicata presso gli antichi che l'umana vita fosse soggetta al destino, che al momento della nascita di ciascuno già fossero decretate le vicende della sua vita fino al momento del morire. E questo talvota si diceva fosse volontà di Zeus o in genere degli Dei, mentre a volte si concepiva il destino come qualcosa di superiore alla stessa volontà divina, potenza a cui Zeus stesso non poteva sottrarsi. Di qui il concetto delle MOIRE rappresentanti appunto il destino assegnato a ciascuno. In Omero si menziona solo una Moira, ma già Esiodo espone nella Teognonia la leggenda più comune, secondo la quale le Moire erano tre, figlie della Notte, e si chiamavano CLOTO, LACHESI e ATROPO, cioè la FILATRICE, la SORTE e l'INFLESSIBILE; la prima occupata a filare lo stame della vita di ognuno, la seconda rappresentante ciò che c'è di casuale nella vita, la terza l'inevitabile necessità di morire quando l'ora è suonata.
Le Parche come figlie delle Tenebre erano sorelle delle Erinni, le Dee della vendetta che perseguitano il colpevole fino alla morte. Come esecutrici della volontà divina erano messe in rapporto con Zeus reggitore dell'ordine supremo, oppure con Apollo il suo profeta; quindi l'uno e l'altro erano detto MORAIGETI, capi delle Moire.
Presso i Romani il destino era espresso con FATUM, la parola divina; e di questa voce si usava il plurale FATA per indicare la sorte assegnata a ciascuno. Esseri poi corrispondenti alle Moire erano le PARCHE, propriamente Dee della nascita, come la CARMENTES; in origine erano due, NONA e DECUMA, dette cosi dagli ultimi mesi della gestazione; a cui più tardi se ne aggiunse una terza, MORTA, come Dea della morte;cosi alle tre Parche si poterono assegnare le stesse attribuzioni delle greche Moire. Dall'età Augustea iniziò a diffondersi l'uso di FATA a designare le Parche stesse. Da qui l'uso di usare la spinta alle fantansie medievali di immaginare l'esistenza delle fate e tessere intorno a loro racconti meravigliosi. Bellissima pittura delle Parche quella che si legge nell'Epitalamio di Peleo e Tetide di Catullo:

<< Una candida veste il corpo tremulo
loro avvolgendo con purpureo lembo
a piè scendeva e li copriva. Di nivee
bende la fronte annosa avevan recinta,
e trattava la man l'opera eterna.
Tenevani la rocca con la sinistra avvolta di molle lana,
e con la destra sottil traendo con le dita supine
il gian formando, poi, chinato il pollice, in vorticoso giro il ben librato
fuso avvolgevano , lo stame a mano a mano
agguagliando col dente, onde in su gli aridi
labbruzzi rimanevano i morseggiati
lanosi blocchi che sporgevano poc'anzi
dal tenue filo in vimine cestelle erano raccolti
morbidi veli di candida lana.>>



Le arti figurative iniziarono tardi a rappresentare le Moire; il tipo che divenne prevalentemente fu quello di tre donne che filano, ovvero di donne che annunciano la ventura e però tengono in mano un rotolo di carta, talvolta in atto di scrivervi su.
NEMESI = TICHE - FORTUNA
E AGATODEMONE = BONUS EVENTUS.
Tra le divinità che avevano rapporto con le sorti della vita umana va ricordata NEMESI, la quale rappresentava una santa indignazione per ogni disordine morale, per ogni cosa che turbasse il normale equilibrio della società, per esempio la felicità soverchia degli uni o la tracotante prepotenza degli altri; in tali casi la Dea Nemesi non aveva riposo se non quando l'equilibrio fosse ristabilito. Nella letteratura Nemesi venne descritta solo molto tardi come vendicatrice e punitrice di ogni umana scleratezza. Era oggetto di culto specialmente a Ramnunte nell'Attica, dove la si diceva figlia dell'Oceano e madre di Elena; più Nemesi, in figura di demoni alati, si veneravano anche a Smirne.
Questa divinità fu anche accolta dai romani e fu per Lei eretta una statua nel Campidoglio. Gli scrittori greci che hanno un'intonazione morale, spesso fanno cenno di Nemesi e delle misure da Lei prese contro persone troppo felici e per ciò presutuose; ad esempio Erodoto, Pindaro ecc.; ancora nel II secolo d.C. un poeta cretese, Mesomede, compose un inno a Nemesi e molte poesie dedicate a Lei si possono leggere nell'ANTOLOGIA. Fra i latini va ricordato Canullo che in uno dei suoi poemetti scherzosi, volgendo la parola ad un amico, gli dice:
<< Or tu, audace, bada bene, e guardati, te ne scongiuro, o carissimo, dal porre in non cale le nostre preghiere, perchè non abbia a punirti Nemesi; è una Dea violenta: guardati dall'offenderla>>.


In arte si rappresentava NEMESI in modo simile ad Afrodite vestita, ma nessuna statua fra le tante a noi giunte è stata con sicurezza riconosciuta per figura di Nemesi.
Tiche, la Dea della buona fortuna, secondo la leggenda più comune, era figlia dell'Oceano e di Teti. Come protettrice e conservatrice degli stati Essa era venerata e onorata con templi e statue in molte città della Grecia e dell'Asia. Col tempo si mutò il concetto di Lei e divenne significativa tanto della prospera quanto dell'avversa fortuna. Alla Tyche greca corrisponde la Fortuna dei romani ma solo nell'ultimo senso nominato perchè per la prospera sorte essi escogitarono la Dea Felicitas che fu di pubblica venerazione. Fondatore del culto della Fortuna a Roma si crede sia stato Servio Tullio, quel re che era stato molto fortunato; egli infatti edificò alla Dea col titolo Fors Fortuna un tempio e istituì una solenne festa annua il 24 giugno.
Questo culto si estese sempre più in seguito e la Fortuna fu onorata con più epiteti come Fortuna Pubblica, Fortuna Populi Romani, o alla vita di ordine sociale cone Fortuna muliebris, Fortuna equestris, o alle famiglie Fortuna Tulliana, Torquatiana, Flavia, Augusta ecc, o infine a vari casi della vita, come Fortuna respiciens, obsequens, redux, manens,ecc. Anche fuori di Roma la Fortuna era oggetto di culto; celebri tra gli altri i templi di Preneste e di Anzio. Il primo tempio alla Felicitas fu eretto da Lucullo nell'età di Silla e venne arricchito di molte opere artistiche provenienti dal bottino di Memmio; dopo ne furono eretti altri di cui uno nel Campidoglio. Tiche e la Fortuna non di rado sono menzionate nelle opere letterarie; basti ricordare l'inno a Tiche composto da Pindaro, di cui però si conservano ora solo pochi frammenti, e la bellissima ode 35° del libro primo di Orazio alla Fortuna d'Anzio, dove egli La loda come pronta a esaltare gli umili e deprimere i superbi, la dice invocata sia dagli agricoltori che dai naviganti, temuta dai popoli come dai re, e cosi ne descrive il corteo:
<<te SEMPRE PRECEDE LA CRUDA NECESSITA', PORTANDO NELLA SUA MANO DI BRONZO CHIODI DA TRAVI E CUNEI, NE' LE MANCA IL FIERO ARPIONE E IL PIOMBO LIQUIDO. TE ACCOMPAGNA LA SPERANZA E LA RARA FEDELTA' DI BIANCO PANNO VELATA, LA QUALE NON TI RIFIUTA LA SUA COMPAGNIA ALLORCHE' TU, MUTATA VESTE E FATTA NEMICA, ABBANDONI LE CASE DEI POTENTI>>.


Nella statuaria è frequente la rappresentazione della Fortuna a cui vengono assegnati degli attributi quali il TIMONE che la contraddistingueva come governatrice delle umane sorti; poi la si figurava con una cornucopia, ovvero con un giovane PLUTO, Dio della ricchezza, in braccio. Solo negli ultimi tempi posteriori per indicare l'incertezza della Fortuna venne rappresentata su una palla o su una ruota.
Il destino riservato a ciascun uomo, a ciascuna famiglia, a ciascuna città è cosi importante e ha un fondo cosi oscuro e impenetrabile, che gli antichi sentirono il bisogno di affidarlo ad altri esseri ancora, oltre i nominati; e immaginarono che ogni individuo sia assistito, guidato nelle varie congiunture della vita da un Dio speciale; questi Dei speciali i Greci li chiamavano DEMONI, gli Italici GENII; e cosi popolarono di Dei le case, le città, le campagne; da loro si aspettavano prosperità di eventi e ricchezza di prodotti, a loro si offrivano nel giorno del compleanno di ciascuno vino, focacce, profumi e corone. Specialmente era venerato il demone del raccolto annuale detto Agatodemone, in latino Bonus Eventus, onorato soprattutto nel tempo della svinatura, ma invocato anche in altre congiunture, onde le formule d'augurio : quod bene eveniat...quod buone faustumque sit...ecc. L'arte diede rappresentazione sensibile a questi esseri o ricorrendo specialmente al simbolo del serpente che indicava fortuna, raffigurandoli in forma di giovani con la cornucopia e la tazza in mano, un papavero e delle spighe nell'altra.

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